Bambina affetta da grave malformazione cerebrale viene abbandonata, l’infermiera la adotta

Esiste una grande quantità di malvagità nel mondo, tuttavia non bisogna dimenticare che ci sono anche individui che compiono gesti di amore e generosità profondi. Nuria Pérez è un’infermiera argentina, residente nella città di Santa Lucía. All’età di 28 anni si è separata dal padre di suo figlio e si è trovata a crescere da sola un bambino di 9 anni mentre lavorava. Nel suo futuro c’era spazio anche per una bambina, ma in che modo?

La nostra storia comincia quando Nuria arriva all’ospedale in cui lavora e trova una neonata di due mesi, una bambina chiamata “Zoe”, che dormiva in un letto come gli altri bambini. La sola differenza era che nessuno voleva prendersi cura di lei a casa. Il fascicolo della bambina riportava una riga sottolineata “Causa sociale: abbandono”. La sua diagnosi era “idranencefalia“, ovvero aveva due sacche di liquido al posto degli emisferi cerebrali. Una condizione davvero rara e drammatica. “L’aspettativa di vita era molto breve: un anno o forse meno”, racconta l’infermiera.

Passarono settimane all’ospedale e la bambina era ancora senza una famiglia, con i giorni di vita praticamente contati. “I bambini in questa situazione sono sempre speciali per noi, il loro contatto è molto più profondo rispetto a quello che proviamo con un bambino che ha una madre e un padre che si prendono cura di lui. Zoe non era una mia paziente, la vedevo raramente, ma andavo sempre a farle visita e passavo del tempo con lei”. L’infermiera racconta che tra loro due accadde qualcosa di inesplicabile: “Un mese dopo averla conosciuta, dopo un mese e mezzo, dissi ai miei colleghi: ‘Mi assumerò il ruolo di madre’ parlando perla bambina lasciata sola”.

“Se la tua vita sarà così breve, sarebbe bello che tu avessi una madre, un fratello, dei nonni, degli zii, dei cugini e tutto ciò che comprende un casa, un letto, i tuoi abiti, i tuoi giocattoli'”. Questo era il pensiero della donna riflettendo sulla situazione di questa piccola.

La famiglia di Nuria ha acconsentito all’adozione e ha accolto la bambina con grande calore. Anche il figlio della donna argentina ha accettato dato che desiderava avere una sorellina: “Gli spiegai che non poteva sentirci o vederci, ma che avremmo potuto occuparci di lei e che avrebbe potuto giocare con lei in qualche modo”, racconta la donna.

La bambina fu più felice nella sua nuova casa fin dal primo momento: “In ospedale si trovava in una culla molto piccola e, beh, guarda adesso, nel suo letto. Ha smesso di tenere le mani chiuse e ha iniziato ad aprirle”. Racconta la madre adottiva: “L’ho sempre trattata come un qualsiasi altro bambino. Non mi è mai passato per la mente che soffrisse tanto da dirle “poverina, la mia bambina”. L’ho portata in piazza, l’ho messa sulla giostra, siamo usciti a mangiare in famiglia con lei: tutte cose normali”.

“Ovviamente provavamo paure, insicurezze e altre emozioni man mano che avanzava l’età. Oltre al fatto che prima o poi ciò sarebbe accaduto, non siamo mai pronti alla morte, tanto meno a quella di un bambino. Ma Zoe ne ha fatti uno, due, tre, quattro e c’è una foto di lei davanti alla torta nel giorno del suo quinto compleanno”. Sono stati anni felici ma difficili, poiché Zoe aveva convulsioni ogni giorno, indossava i pannolini, doveva girarsi per evitare escoriazioni sulla pelle e aveva crisi respiratorie che spesso portavano la famiglia a ricoverarla in ospedale. Durante il suo ultimo ricovero, la bambina ha avuto un arresto cardiaco.

“Il medico mi disse di andarmene ma io gli risposi che non l’avrei lasciata sola. Mi trattò male, mi afferrò per il braccio e mi spinse contro un bancone. Fu una situazione terribile per me. Avevo promesso a Zoe che non l’avrei mai lasciata sola, nemmeno nei momenti peggiori”, racconta la madre.

Nuria ha dovuto prendere quella che considera “la decisione più difficile della mia vita”: non rianimarla, non intubarla, non far continuare la sua vita. “Magari sarebbe potuta sopravvivere e tornare a casa, oppure sarebbe rimasta intubata in ospedale fino alla fine, prolungando la sua agonia, cosa che nessuno di noi voleva”, afferma commossa. “Stiamo ancora imparando a vivere senza di lei. Fa molto male, ma non ho rimpianti. Sono stati i cinque anni più belli della mia vita”.

Articoli correlati